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Æolia Blog

Humanistica, su gentile concessione del Professor Giuseppe Barbieri

Posted in: Aeolia News, Diario Ma non Solo, News

nella migrazione dal vecchio blog, era stato trasferito solo il titolo, ma non l’articolo….. non me ne voglia il professor Barbieri…

HVMANISTICA

 

an international journal

of early renaissance studies

 

1/2 · 2006

 

pisa · roma

 

i stituti editoriali e polig rafici internazionali

 

mmvi

 

ESTRATTO

 

COORDINAMENTO SCIENTIFICO

ED EDITORIALE

SCIENTIFIC AND EDITORIAL

COMMITTEE

 

Giuseppe Barbieri · Jean-Louis Charlet

Marcello Ciccuto (Segretario · Secretary)

 

Francesco Furlan (Segretario · Secretary)

 

Martin McLaughlin · Gianni Venturi

 

*

 

COLLEGIO DI DIREZIONE

EDITORIAL BOARD

 

Giuseppe Barbieri · Jean-Louis Charlet

Marcello Ciccuto · Claudio Crescentini

Francesco P. Di Teodoro · Enrico Fenzi

Riccardo Fubini · Francesco Furlan

Guglielmo Gor ni · Nicoletta Guidobaldi

Yves Hersant · Charles Hope

Frank La Brasca · Giulio Lepschy

David Marsh · Mario Martelli

Martin McLaughlin · Stefano Pittaluga

Lionello Puppi · Francisco Rico

Alain-Ph. Segonds · Ranieri Varese

Philippe Vendrix · Gianni Venturi

 

« FINXIT IN EFFIGIEM MODERANTUM CUNCTA DEORUM » :

UN RITRATTO IN SEMBIANZE DI PROMETEO

 

Giuseppe Barbieri

 

1. Non uomini, dèi

Nel 1903, Hugo von Hoffmannsthal scrisse

 

una pagina giustamente famosa su villa Almerico-

Capra, universalmente nota come la

Rotonda di Andrea Palladio. L’edifi cio non era più

percepibile nello splendore di un tempo. Con amaro

riscontro lo scrittore ci indica le strutture di accesso

alla villa « umiliate come sono, desolate, spellate fi no

ai mattoni, sosta delle lucertole » ; 1 ciò tuttavia non

 

riduce l’impatto della sua percezione :

 

È un edifi cio costruito per un piacere tale, come se non

fosse destinato a uomini ma a dèi. E se furon uomini,

devono aver avuto qualcosa di divino nel sangue per

sopportare una abitazione come questa. Un qualcosa di

superiore all’umano esigono queste quattro scalinate, rivolte

ai monti, al mare, alla pianura, alla città. Anche solo

il loro aspetto – umiliate come sono, desolate, spellate

fi no ai mattoni, sosta delle lucertole – genera sogni. Terribile

come nessuna di esse sappia niente dell’altra, come

ognuna volti le spalle all’altra, e come tutte poi alla sala

enorme che s’imbuia. Su una di esse potrebbe esserci un

guerriero, un tremendo Dio di distruzione che lanciasse

segnali di fuoco giù verso il piano, giù verso la città. E

sull’altra, quella che guarda il mare, un piacere sfrenato

che si riversa di gradino in gradino, ruota ebbra, faunesca,

con mani folli e capelli bagnati di baci e di vino, e

succo a grappoli schiacciati di bocca a bocca spruzzante

verso le stelle. E in direzione delle stelle, della scintillante

striscia di Orione, verso le ombre mute di quei monti

giganteschi che respirano divina purezza, uno, sulla terza

scalinata, solo, tremante di giovinezza e di stupore. E su

quella di spalle che guarda verso le cupe trame della vasta

pianura, potrebbe accadere un delitto. E tutte quattro non

saprebbero niente l’una dell’altra.

 

Non intendo partire da qui per costruire una qualche

antologia di testi, che pure non mancano, sul capolavoro

palladiano. Non rientra tra gli obiettivi di questo

intervento neppure una precisa contestualizzazione

del punto di vista di Hoffmannsthal, quello che in

 

particolare si dispiega nella seconda parte del passo,

dove non è comunque affatto implausibile avvertire,

 

da una parte, il ricorso a suggestioni nietzscheane e,

insieme, una sorta di impiego di quelle Pathosformeln

 

che Aby Warburg fi ssa, negli stessi anni, come uno

dei criteri più efficaci per la comprensione dell’arterinascimentale. 2 L’unico dato che mi preme viceversa

 

sottolineare è anche il più insistito nella pagina

dello scrittore austriaco : la presenza degli dèi. Di

uomini-dèi nell’attacco del brano, di una divinità

diffusa, nella seconda parte, che popola le quattro

 

scalinate della villa, con dinamiche e atteggiamenti

molto diversi – statuari e irrefrenabili, tremanti o

privi di vita – ma anche con una panica, generale

capacità di coinvolgimento, che abbraccia le stelle e

le quattro parti del mondo, le azioni e i sentimenti ;

che sembra inoltre e comunque aspirare, tra sogni

e forzate impossibilità di sapere, a una conoscenza

che superi le apparenze, che sorpassi quel buio che

Hoffmannsthal colloca nel cuore dell’architettura.

 

Il brevissimo accenno « alla sala enorme che s’imbuia

» lascia presumere una visita anche all’interno

dell’edifi cio. Furono i soggetti della decorazione che

osservò a fornirgli lo spunto per una così marcata

evidenziazione del carattere ‘divino’ di quel segno

architettonico ? Non abbiamo alcuna possibilità di

conferma, ma sappiamo tuttavia che, pur in condizioni

di illuminazione non ottimali, Hoffmannsthal

 

vide pressoché solo dèi. Paola Rossi ha osservato che

« la decorazione pittorica della Rotonda rappresenta

un episodio della problematica dei fatti artistici tra

quelli rimasti a tutt’oggi più nebulosi » : 3 ciò riguarda

 

però – e non è poco s’intenda – l’assenza di dati

documentari, la mancanza di indizi che consenta-

 

1 Hugo von Hoffmannsthal, La Rotonda del Palladio, Sommereise,

1903, in Prosa, ii, Berlino, 1953, trad. it. di Nico Stringa in

 

« Odeon », i, 2, 1980, p. 21.

2 Per i testi di quest’ultimo si veda Aby Warburg, Opere, i,

La rinascita del paganesimo antico e altri scritti, a cura di MaurizioGhelardi, Torino, Nino Aragno Editore,

2004, in particolare la

 

conclusione de L’ingresso dello stile anticheggiante nella pittura del primoRinascimento

, il testo della celebre conferenza proposta dapprima

 

al Kunsthistorisches Institut di Firenze, il 20 aprile del 1914. Sulproblema delle

Pathosformeln in Warburg basti il rinvio ai saggi

 

di Giovanni Careri, Ezio Raimondi e Claudia Cieri Via nella

miscellanea che raccoglie gli Atti del Convegno di Ferrara del

1998 : Aby Warburg e le metamorfosi degli antichi dei, a cura di Marco

 

Bertozzi, Modena, Franco Cosimo Panini, 2002.

3 Paola Rossi, Gli affreschi, in La Rotonda, Milano, Electa, 1988,

 

pp. 143–167 : qui p. 143 ; neppure il Catalogo della recente Mostra

Andrea Palladio e la villa veneta da Petrarca a Carlo Scarpa, a cura di Guido

 

Beltramini e Howard Burns, Venezia, Marsilio, 2005 aggiungeelementi salienti : si veda infatti, ivi,

Paola Marini, La decorazione

della villa all’età di Palladio, pp. 105–115 ; qualche maggiore motivo diinteresse nelle schede, pp.

356–365. Un’analisi della bibliografi a

 

critica sulla villa si deve a Donata Battilotti (pp. 497–498), in

Lionello Puppi, Andrea Palladio, nuova ed. aggiornata e ampliata

 

a cura di Donata Battilotti, Milano, Electa, 1999 : concordo conla studiosa sulla ridotta e

fficacia di una lunga serie di letture

 

esoteriche della costruzione e della sua decorazione che si sono

venute allineando nell’ultimo scorcio del xx secolo

 

162 giuseppe barbieri

 

no di decifrare e restituire un organico programma

iconografi co, l’incertezza su cronologie certe e su

attribuzioni sicure agli artisti coinvolti, che Palladio

per di più non rammenta nel pur lungo testo che

accompagna l’invenzione nel suo trattato di architettura,

licenziato nel corso del 1570 1 (quasi a stabilireun implicito termine post quem per l’avvio dell’impresa

 

di decorazione degli interni).

Almeno i soggetti della decorazione risultano assai

meno nebulosi : persino le grottesche, che compaiono

in fasce a perimetro delle campiture di affresco

 

nella sala grande a est, e che risolvono globalmente

la decorazione dei camerini di collegamento (segni

spesso discussi, soprattutto quanto ai termini dell’esecuzione,

ma anche, almeno sino ad anni recenti,

scarsamente analizzati), nel momento in cui vengono

correttamente inquadrate nel contesto berico (e

veneto) del secondo Cinquecento, 2 palesano senza

 

equivoci le tematiche prevalenti, esito di un profi

cuo colloquio tra le riconosciute competenze del

probabile e più presente (ma non l’unico) esecutore,

Eliodoro Forbicini, e gli interessi del primo proprietario

della villa, Paolo Almerico : parlano della

ricchezza di una natura fertile e generosa di messi

(un dato esplicitamente sottolineato, del resto, dallo

stesso Palladio nel suo trattato) e delle contraddizioni

che in essa coesistono, e che riverberano necessariamente

nell’intima personalità dell’uomo ; segnalano

1 A proposito della complessa pagina palladiana (I quattro libri

di architettura, In Venetia, Appresso Dominico de’ Franceschi,

 

1570, ii, 3, p. 18) credo che la monografi a sulla Rotonda del

1988 possa essere ancor oggi utilmente integrata dal mio Andrea

Palladio e la cultura veneta del Rinascimento, Roma, Il Veltro, 1983,pp.

213–226, in particolare per quanto si riferisce agli accenni

 

al tema del doppio.

2 Come ha fatto una mia bravissima allieva nella sua tesi di

 

laurea, cui rimando : Francesca Manea,

« Cose che pareno insogni »

e « cose studiose » : motivi a grottesca nella decorazione vicentina dei secc. xv

 

e xvi, tesi di laurea, Università degli Studi di Udine, a.a. 1998–

 

1999 : per la Rotonda, pp. 326–347.

Fig. 1. Vicenza, Villa Americo-Capra, detta La Rotonda, soffitto della stanza grande a sud,Alessandro Maganza, Trionfo

di Minerva (della Sapienza), affresco, 1599

ca. (courtesy Vicenza, Centro Internazionale di Studi di Architettura «Andrea Palla –

 

dio», Fototeca).

 

 

un ritratto in sembianze di prometeo 163

 

il positivo valore e il ruolo decisivo della sessualità,

con cui l’uomo partecipa alla fertilità del più vasto

contesto naturale ; attestano il bisogno di un’elevazione

morale, da conseguire mediante pratiche di

devozione personale (i cui emblemi spesso si rivelano

connotati da una sottile doppiezza semantica) ;

si aggiungano alcuni precisi rimandi, per quanto il

genere espressivo consente, agli eccepibili comportamenti

intrattenuti dal committente nel corso della

sua vita, dato che era stato accusato di omicidio e

di aver illecitamente trattenuto le prebende legate

a una carica che non aveva pienamente ricoperto ;

infi ne, l’allusione a una strategia di conoscenza delle

più alte verità, tradotta nell’immagine frequente della

cicogna, che per Giovanni Pierio Valeriano, nei suoi

monumentali Hieroglyphica, rinvia per l’appunto a un

animus divinus intentus, 1 cicogna che è talvolta connotata

 

addirittura dalle ali di Psiche, similmente riferibili

a un simbolico percorso di elevazione cognitiva e

spirituale : forse anche questo elemento ha lasciato

una traccia nella pagina palladiana del trattato,

quando l’architetto sottolinea manifestamente (ma,

invero, paradossalmente) la collocazione acropolica

dell’edifi cio, rimarcandone allo stesso tempo l’« ascesa

[ascesi ?] facilissima » che vi approda.

Per quanto riguarda gli elementi anche dimensionalmente

maggiori della decorazione della villa, per

cui rimando al citato ed esauriente saggio di Paola

Rossi, qualche problema di lettura può essere in effet-

1 Cfr. Giovanni Pierio Valeriano, Hieroglyphica sive de sacris

Aegyptiorum aliarumque gentium literis commentarii, Lugano, Honoraty,

 

1579, p. 124.

 

Fig. 2. Vicenza, Villa Americo-Capra, detta La Rotonda, soffitto della stanza grande a nord, ambito di Bernardino India,

Trionfo della Sapienza con le Grazie e tre divinità olimpiche, affresco, ante 1590 (courtesy Vicenza, Centro Internazionale di Studi di

 

Architettura «Andrea Palladio», Fototeca).

 

164 giuseppe barbieri

 

ti rintracciato nella puntuale decifrazione di alcune

fi gure della cupola che sovrasta la sala centrale e, in

casi marginali, nei soffitti delle sale angolari (segnatamente

 

per gli ottagoni della stanza grande a sud). Ma,

nel complesso, essi risultano di signifi cato scoperto

e coerente con quanto ho indicato a proposito dei

camerini a grottesche : vi si mescolano allegorie delle

virtù e delle arti, che dispiegano un discorso di complessa

elevazione, in termini di conoscenza e di comportamenti

morali, presidiate e, per quanto si riferisce

alla percezione d’insieme che poteva averne ricavato

Hoffmannsthal, pressoché dominate, dopo l’intervento

 

di Louis Dorigny all’inizio del xviii secolo , 1

dalle

 

raffigurazioni delle divinità pagane dell’Olimpo.

 

 

2. Olimpi in villa

 

Tale presenza è in realtà tutt’altro che infrequente negli

edifi ci suburbani di Andrea Palladio, come pure del

resto in alcuni suoi palazzi vicentini : tanto in quello

per Marc’Antonio Thiene quanto in quello per Girolamo

Chiericati – ma sarà il fi glio di questi, Valerio, a

promuoverne la fastosa decorazione – esistono esplicite

Stanze degli Dèi. Nel palazzo per Iseppo Porto,

la cui impresa decorativa, per altro sconvolta nel corso

dei secoli, presumibilmente precede le altre, scene mitologiche

si accompagnavano a dipinti e affreschi, rinnovati

 

anche nel corso del xviii secolo, che ritraevanoalcuni esponenti della famiglia proprietaria :

2 una contiguità

 

che vedremo vieppiù enfatizzata nell’episodio

1 Sull’attività dell’artista in Veneto cfr. Louis Dorigny 1654-

1742. Un pittore dalla corte francese a Verona

, a cura di Giorgio

 

Marini e Paola Marini, Venezia, Marsilio, 2003.

 

 

2 Si veda la ricapitolazione del problema in Franco Barbieri,

Vicenza città di palazzi, Milano, Silvana Editoriale, 1987, pp. 72–74.

Fig. 3. Vicenza, Palazzo Thiene (sede della Banca Popolare), Sala delle Metamorfosi, volta con gli affreschi di Bernardino

 

India e gli stucchi di Alessandro Vittoria, 1552

ca. (courtesy Vicenza, Centro Internazionale di Studi di Architettura

 

«Andrea Palladio», Fototeca).

 

 

un ritratto in sembianze di prometeo 165

 

che costituisce il centro di questo mio saggio. Quanto

alle ville, Giovanni Antonio Fasolo 1 dispone un sovraccaricoOlimpo a precedere raffigurazioni di momenti

 

di vita domestica (dove probabilmente appaiono anche

i membri della famiglia committente) in quella per

i Caldogno, nell’omonimo e piccolo centro alle porte

di Vicenza ; a Pojana

Maggiore, nel la

villa progettata per

l’eponima famiglia,

Bernardino India

colloca sul soffitto di

 

una delle due stanze

principali, a destra

dell’ingresso, le divinità

dell’Olimpo

e, su una parete, una

famiglia, quella dei

committenti, in vesti

classiche, inginocchiata

dinanzi alla

statua della Pace. Anche

a Maser, a Villa

Barbaro, il più complesso

e lungamente

discusso episodio di

decorazione di una

villa palladiana, 2 nel

 

braccio posteriore del

salone Paolo Verone

se affianca alla

 

vi sione dell’Olimpo

sul soffitto i ritratti

 

della moglie di uno

dei due committenti,

Marcantonio, dei

fi gli di questi e della

loro nutrice, che si

affacciano, con intrigante

 

naturalezza, da

un ballatoio. E a sua

volta, Battista Zelotti,

che già aveva collaborato

alla decorazione della Villa Godi di Lonedo

di Lugo Vicentino, popola i soffitti e le pareti di Villa

 

Foscari, la Malcontenta, a Gambarare di Mira, e di

quella per gli Emo a Fanzolo, con allegorie di Virtù e

di divinità pagane, secondo schemi e dosaggi non lontani

da quelli che abbiamo veduto alla Rotonda.

Il diffuso ricorso alle allegorie di Virtù nella decorazione

 

delle ville venete è una questione sin troppo

indagata dalla critica, che ha riconosciuto da tempo

il preciso ricorso a strumenti anche iconici per la veicolazione

del nuovo valore che veniva attribuendosi,

nel corso del Cinquecento, alle pratiche agricole, nel

quadro del complesso virage che, nella Repubblica

 

veneta, porta alla costituzione di uno Stato da Terra,

dapprima affiancato

 

a quello da

Mar, e rapidamente

de s tinato a

sostituirlo come

fonte delle risorse

del Dominio ;

a tale affermazione

 

di senso fi niva

per contribuire, a

sostegno, anche

la ripresa del più

datato topos umanistico

 

che fi ssava

nell’abbandono

dei negotia

affannosi della vita

 

ci vile e cittadina

la condizione

pe r un progresso

spirituale personale,

ma anche di

gruppi e di ceti.

Non è questa la

sede per ripercorrere

le sfaccettate

articolazioni del

problema. Re –

s tiamo piuttosto

a una dimensione

di contiguità

tra i committenti

e proprietari delle

ville (spesso

raffigurati, come

 

abbiamo visto,

negli interni cicli

di decorazione) e le divinità del mondo antico :

anche su questo punto, da Warburg a Wind a Seznec,

sono venute stratifi candosi, nel corso del Novecento,

alcune fondamentali rifl essioni, che possono fornire

lo sfondo per la specifi ca aggiunta di questa circostanza.

3. « Un’eolo ver, ch’il finto rassomiglia »

 

Mi riferisco a un episodio certamente minore, quanto

al livello dell’esito artistico, ma non invece per il suo

sicuro interesse iconografi co, almeno nella generale

prospettiva appena indicata. Si tratta della decorazione

del soffitto di un piccolo padiglione che Francesco

 

Trento, un nobile vicentino di cui ho avuto molti

1 Cfr. Stefano Marconi, ad vocem, in Dizionario Biografi co degli

Italiani, xlv, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1995

,

 

pp. 259–262.

 

2 Cfr. A. Puppi, Andrea Palladio, cit., pp. 314–318, e D. Battilotti,

 

ivi, pp. 469–471.

 

Fig. 4 – Vicenza, Palazzo Chiericati, soffitto della saletta sud del piano terra,

Giovan Battista Zelotti, Concilio degli Dèi (part.), affresco, 1557-1558 (courtesy

 

Vicenza, Centro Internazionale di Studi di Architettura «Andrea Palladio

», Fototeca).

 

166 giuseppe barbieri

 

anni fa l’occasione di occuparmi abbastanza a fondo, 1

 

realizza a Costozza, « una villa nel Vicentino, lontana

dalla Città sei miglia », 2 entro il 1560, 3 accanto a una

 

maggiore residenza suburbana di famiglia, ereditata

dal padre, Girolamo, e decora, credo, pressoché nella

stessa fase temporale, sebbene, ritengo, senza portare

a defi nitivo compimento l’iniziale, e forse sin troppo

ambizioso, programma iconografi co : di cui ci resta

tuttavia una preziosa indicazione proprio nel codice

ambrosiano A. 16 inf. su cui si concentrava il mio

 

intervento del 1983.

1 Cfr. Giuseppe Barbieri, Il vento e la legge : Francesco Trento e il

circolo di villa Eolia, « Studi Veneziani », n.s., vii, 1983, pp. 81–142.

2 Come recita l’inizio della celebre descrizione fornita a Leandro

 

Alberti da Giangiorgio Trissino : vedila in

Descrittione di tutta

Italia…, In Vinegia, per Domenico de’ Farri, mdlvii, ff. 418rv.

 

3 Come conferma il testo di un’iscrizione, un tempo scolpita

 

nel ‘Carcere dei Venti’ sottostante la stanza che ci interessa, che

ci è stata conservata in due versioni, l’una nel cod. A. 16 inf., nella

 

Biblioteca Ambrosiana di Milano, con un decisivo errore, quanto

alla data, l’altra da Francesco Tomasini nella sua Genealogica istoria

delle famiglie nobili vicentine (Vicenza, Biblioteca Civica Bertoliana,Mss.,

gonz. 26.8.3 = 3336, ff. 227v–228r) : « Franciscus Tridentus

 

vicentinus iureconsultus Hieronimi equitis fl ius geliditate fl atu

in caverna Cubalo nuncupata spirantem, in aedes proprias per

hoc cryptoporticum deduxit ad temperandum ardores et aestivos

calores quem tum cohibendo tum relaxando novo atque mirabili

artifi cio per cubicula quaeque deducendo ea pro libito suo

refrigerare et calefacere valet ita ut custodia Villa, eius ingenio,

diligentia, impensa ac aemulatione ornatior effecta, inter regia

 

oblectamenta connumerari possit. Anno 1560

, aetatis autem sue

 

trigesimo secundo ».

 

Fig. 5. Caldogno (vi), Villa Caldogno, volta a botte dell’atrio, Giovanni Antonio Fasolo,Olimpo, affresco, 1570 ca. (courtesy

 

Vicenza, Centro Internazionale di Studi di Architettura «Andrea Palladio», Fototeca).

 

un ritratto in sembianze di prometeo 167

 

Senza ripercorrerlo, occorrerà d’altra parte spendere

due parole sull’elemento più fortemente caratterizzante

la piccola costruzione annessa a Villa Trento,

il padiglione sovrapposto a un Carcere dei Venti 1

 

che Francesco, così come attestano iscrizioni ancora

presenti 2 e composizioni letterarie similmente inseritenel dossier ambrosiano, aveva voluto designare

 

col nome di Eolia, di nuova reggia del signore dei

venti. Si tratta di un sistema di termoregolazione,

per convezione naturale, che metteva in comunicazione,

mediante lunghi cunicoli (i cosiddetti ‘ventidotti’),

una serie di grotte : ciò consentiva anzitutto

di mantenere a temperatura costante la ricca cantina

(celebrata anche da Ruzante) allogata nelle immediate

vicinanze del Carcere, e di operare inoltre, attraverso

saracinesche opportunamente manovrate, l’immissione

– nel padiglione, nella villa contigua, nelle altre

ville contermini – di un maggiore o minore fl usso

di aria fresca e non troppo umida, con effetti, tuttora

 

in vigore, che anticipano, per così dire, i nostri

usi dell’aria condizionata. Proprio Francesco, che

una lunga e qualifi cata serie di elogia riconoscono, e

 

cito dal meno felice da un punto di vista letterario,

come « un’huom ch’i venti frena, e slega, e move, /

E un’Eolo ver, ch’il fi nto rassomiglia », 3 rivendica in

 

quello stesso codice ambrosiano, in un autografo, il

signifi cato della sua impresa :

 

Franciscus Tridentus vicentinus iureconsultus Hieronimi

equitis fi lius gelidi venti fl atum in caverna cubalo nuncupata

spirantem per hoc Chriptoporticum in hunc locum

Æolium nuncupatum deduxit ad temperandos ardores et

aestivos calores quem tum cohibendo tum relaxando novo

atque mirabili artifi cio per huius domus cubicula quaeque

ducendo ea pro libito suo refrigerare et calefacere valet.

Adeo quod ut non tam mirabili hoc ventiducto quam

acquaeductis et piscinis picturis et ornato Musaeo domus

decoratur sed etiam hortiis viridariis vinetis Parnaso scilicet

Falerno et Olimpo ex incultis et saxosis locis ab eo

emptis plantatis ac in eam quae nunc videtur amenitatem

et fertilitatem reuctis Custodia villa dum haec alij imitari

conantur deliciosissima efficitur et inter regia oblectamenta

 

connumerari potest.

1 Cfr. Palladio, I quattro libri, cit., i, 27, p. 60 : « il carcere de’

 

Venti, che è una stanza sotterra fatta dall’Eccellentissimo Signor

Francesco Trento, & da lui chiamata eolia : ove molti di detti

 

Ventidotti sboccano : nella quale per fare che sia ornata, e bella,

e conforme al nome ; egli non ha sparagnato nè a diligenza, nè a

spesa alcuna ».

2 L’iscrizione tutt’oggi visibile all’ingresso del criptoportico,

 

assai diversa da quella, molto più lunga, che lo stesso Trento

aveva compitato, recita : aeolvs hic clavso ventorvm carcere

 

regnat aeolia.

Fig. 6. Pojana Maggiore (vi), Villa Pojana, soffitto della sala

 

centrale, Giovan Battista Zelotti, Le divinità dell’Olimpo fannocorona a Giove

, affresco, 1558 ca. (courtesy Vicenza, Centro

 

Internazionale di Studi di Architettura «Andrea Palladio»,

Fototeca).

Fig. 7. Pojana Maggiore (vi), Villa Pojana, Sala degli Imperatori,

 

parete settentrionale, Bernardino India, I committentivenerano una statua della Pace

, affresco, entro il 1563 (courtesy

 

Vicenza, Centro Internazionale di Studi di Architet tura

«Andrea Palladio», Fototeca).

 

3 Milano, Biblioteca Ambrosiana, Cod. A. 16 inf., f. 21r.

 

168 giuseppe barbieri

 

Non voglio che sorgano equivoci. Come è agevole

evincere dall’intonazione del passo che ho riportato

– una prima stesura, e tuttavia più ampia e stimolante,

dell’iscrizione che Trento avrebbe poi fatto apporre

all’ingresso del Carcere dei Venti 1 – a Francesco spetta

 

sostanzialmente il merito di aver ‘trasfi gurato’ un sistema

da secoli in uso a Costozza, sotto e dentro le pendici

dei Colli Berici : il nobile giureconsulto vicentino

aveva provveduto insomma a un’opera di risignifi cazione

(o forse, come vedremo, di ricreazione) di quel

meccanismo, così come aveva provveduto, nel corso

degli anni a rinominare,

in modo

magniloquente e

sintomatico, gli a ppezzamenti

della

sua proprietà ; Parnaso,

in precedenza

Contrà del la

Crosara, o delle

Lasteselle ; Falerno,

già Contrà di

Bazaloni ; 2 Olimpo.

 

Si tratta di

un’impostazione

che, nella mia monografi

a su Palladio

e nel saggio

sul circolo di Villa

Eolia, proponevo

di ascrivere, giocando

sui termini

che Alberti fi ssa

nel capitolo 2 del

 

sesto libro del Dere aedifi catoria

, a una

 

precisa logica dell’‘

ornamento’, nei

confronti di un

mondo che risulta

sì già segnato

dall’autentica bellezza

della creazione divina e che comunque abbisogna

di interventi, a completamento, dell’uomo. Una

impostazione che, inevitabilmente, può essere sancita,

sintetizzata, anche da un testo fi gurativo : in questo

caso, dagli affreschi sul soffitto dell’Eolia.

 

4. Prometeo tra i pianeti

 

Negli ultimi lustri l’episodio è stato oggetto di una

qualche attenzione da parte della critica, 3 che tuttavia

 

non ha ancora colto in modo esauriente, a mio avviso,

il senso che Francesco Trento vi voleva riposto. La

descrizione fornita da Alessandro Bevilacqua, pur con

qualche inesattezza, è assai puntuale :

 

La decorazione […] confi gura un padiglione ipetro, formato

da un peristilio concluso da una volta ; il peristilio

è composto da un alto zoccolo corrente, su cui poggiano

pilastri con addossate semicolonne corinzie, a reggere un

articolato architrave ; gli intercolumni ora si chiudono in

specchiature marmoree, ora si aprono in corrispondenza

delle porte e fi nestre reali, e d’un fi nto sfondo paesistico. 4

 

Dall’architrave s’innalza

la volta aperta,

composta da una

doppia crociera di

archi (quattro maggiori

che partono

dal centro dei lati, e

quattro minori dagli

angoli della sala) che

si conclude nell’ottagono

sommitale.

Gli archi maggiori

assumono la forma

di pilastri, suddivisi

da una cornicetta :

alternativamente lisci

o decorati, nella

parte inferiore, con

due fanciulle stilofore,

ciascuno racchiude

una nicchia

entro cui è posta

l’allegoria bronzea

d’una stagione. 5 Nei

 

pilastri lisci, putti

fes tanti tra mazzi di

 

1 Cfr. supra, p. 168, nota 3.

2 Per queste due rinominazioni cfr. Vicenza, Archivio di Stato,

 

Notarile, notaio Oliviero Scalabrin, busta 8450, 15 dicembre

 

1575, e notaio Cesare Gennari, busta 8214, 8 ottobre 1576.

3 Cfr. Alessandro Bevilacqua, Ricerche e notizie per una storia artistica

di Costozza, Longare e Lumignano, in Costozza. Territorio immaginie civiltà nella storia della Riviera Berica Superiore

, a cura di Ermenegildo

 

Reato, Vicenza, Stocchiero

Editrice, 1984,

 

pp. 871–971 : per l’Eoliapp.

906–912 ; SandroSponza, Della villa

« Eolia » per il genio della

Rotonda, « Bollettino del

 

Centro Internazionale di Storia dell’Architettura ‘Andrea Palladio’

», xxiv, 1982–1987, pp. 211–220 ; Gert van der Sman,

L’Eolia

di Villa Trento : arte e umanesimo letterario nel Vicentino, « Arte Veneta »,

 

xlii, 1988, pp. 58–67 ; Loredana Olivato, Il carcere dei venti : villa Eolia

a Costozza, in Per Giuseppe Mazzariol, « Quaderni di Venezia Arti », 1,

1992, pp. 191–194 ; Gerardus Johannes Jacobus van der Sman, La

decorazione a fresco delle ville venete del Cinquecento. Saggi di lettura stilistica ed

iconografi ca. Dissertazione, Firenze, Litografi a rgr, 1993, pp. 139–156.

4 Che ritengo molto posteriore alla realizzazione dell’intervento

 

cinquecentesco.

5 Credo invece che si tratti della raffigurazione dei QuattroElementi : le fi gure non mostrano connotati iconografi ci che possano

 

escludere tale interpretazione, al contrario paiono proprio

confermare l’ipotesi di lettura. Anche la loro collocazione (si

pensi, ad es., al Fuoco tra le fi gure in trionfo di Venere e di

Cupido) risulta coerente. L’Aere, sopra la porta posta sulla

pubblica via, indica signifi cativamente con la mano l’ottagono

traforato posto al centro del pavimento, che mette in comunicazione

il padiglione con il Carcere dei Venti.

 

Fig. 8. Maser (tv), Villa Barbaro, Sala dell’Olimpo, soffitto, Paolo Veronese,

Le divinità dell’Olimpo, affresco, 1559-1650 (courtesy Vicenza, Centro Interna –

 

ziona le di Studi di Architettura «Andrea Palladio», Fototeca).

 

un ritratto in sembianze di prometeo 169

 

verzure risalgono il profi lo della nicchia fi no all’erma sovrastante

; in quelli decorati, due atletici giovani, bilicati

sopra le cornicette, affiancano il festone e le protome che

 

coronano la sommità della nicchia. I campi fi gurativi,

riccamente ornati, alla conclusione delle arcate minori

contengono i segni zodiacali relativi alle stagioni.

 

Potrei continuare. La descrizione di Bevilacqua prosegue

infatti per un intero altro capoverso, poco più

breve di quello che ho riportato. Intendiamoci : sarebbe

difficile impiegare un minor numero di parole. Ilsoffitto è singolarmente affollato. Di dèi, com’è ovvio

 

presumere a questo punto del discorso : Saturno, Giove,

Marte, Apollo, Venere (e Cupido), Mercurio, Diana.

Ma esistono anche tutti gli ingredienti evidenziati

dal passo che ho riportato. E se ne aggiungono altri.

Ad es., non è priva di signifi cato la presenza di due

busti femminili all’interno di altrettante conchiglie

(forse ritratti : sono purtroppo così rovinati da non

consentire ormai alcuna identifi cazione certa, ma solo

a catalizzare indizi esterni all’affresco), che sormontanodue delle raffigurazioni allegoriche fi nto bronzee

 

e che propongo di intendere, nell’ordine dei Quattro

Elementi, come la Terra e il Fuoco. Teste grottesche

si dispongono inoltre sugli alti plinti delle semicolonne

e sulle specchiature della trabeazione ; erme

faunesche saldano le crociere maggiori, mentre quelle

Fig. 9. Lonedo di Luogo Vicentino (vi), Villa Godi Malinverni, parete minore del salone,Giovan Battista Zelotti, Ercole

tra la Virtù e la Fatica, affresco, 1565

ca. (courtesy Vicenza, Centro Internazionale di Studi di Architettura «Andrea Palladio»,

 

Fototeca).

 

 

170 giuseppe barbieri

 

minori sono concluse da scudi ovali, a monocromo

verdastro, uno dei quali conserva un’accennata fi gura

angelica : altri monocromi, tra il bronzo e la terra,

perimetrano proprio gli scudi, e potrebbero rinviare

a personifi cazioni di elementi naturali, come fi umi

ovvero venti, e in questo caso il discorso si farebbe

anche più intrigante. Esistono inoltre, sulle sovraporte

degli accessi al criptoportico e alla strada di fronte al

villino, due cruciali iscrizioni, non so fi no a che punto

coeve alla originaria defi nizione della stanza (anche

per i molti ritocchi), ma che costituiscono certamente

una cifra di lettura non prescindibile all’insieme

dell’intervento decorativo. Recitano, sviluppando un

unico concetto, a cominciare dalla scritta sulla via :

in aestu temperies, incognita priscis. Ritorneremo

 

sulla questione alla fi ne del nostro discorso.

Ho accennato invece in precedenza a un ambizioso

programma iconografi co, e a una traccia che ce lo

attesta e tramanda. Si tratta di uno dei testi collazionati

nel ricordato dossier encomiastico dell’Ambrosiana

 

: una sovrascrittura successiva – presumibilmente

quella dell’editor del codice, ossia il nipote di Francesco

 

Trento, il somasco Gasparo Trissino – lo dichiara

autografo del committente e promotore, né sussistono

ragioni che portino a escludere tale evenienza.

L’autografo, se di autografo dunque si tratta, 1 risulta

 

comunque incompleto, ma solo perché tronco e

non certo per la mancanza di dettagli. Ci comunica

anzitutto il nome attribuito da Francesco alla sala,

« stanza Apolline » 2 e ci fa perfettamente intendere

 

come la partitura freschiva non dovesse limitarsi solo

al soffitto del padiglione, dato che :

Se ha da far. 7. quadri sotto alli .7. pianeti quali vanno largidrento de le colonne ; 5. in .6. piedi et alti .9. in .X. piedi. Et

 

in ciaschedun quadro li va tre operation. Et se ne farra una

de li principali operation de fi gure minore del vivo grande

tri ovver .4. piedi. Le altre due operationi se farrano de

 

fi gura picole et una menor de l’altra fi ngendole nel paese

lontane et una pi lontana de l’altra remetendosi etiam al’

giuditi del pittore.

Sotto Saturno che inclina a arte magica a agricoltura a

edifi cij a pregioni a minere a mercantia.

Una maga a similitudine di una medea che sia in circulo

et facia incantatione

Uno aratore che coltivi la terra

Persone che facino una fabrica bella

Navi in mare che discargino merce

Sotto Giove qual inclina a regni a religion a honori a

richeze et a honorati vestimenti.

Un Papa che coroni l’imperator

1 Giovanni da Schio, che trascrive parte del dossier ambrosiano

 

(Vicenza, Biblioteca Civica Bertoliana, Mss.,

Vicentinerie raccolte a

Milano l’anno 1835, gonz. 249.12 = 2575), annota : « ma a me sembra

 

Fig. 10. Gambarare di Mira (ve), Villa Foscari detta La Malcontenta,

 

Stanza dei Giganti, soffitto, Giovan Battista Zelotti

 

o Battista Franco, Giove tra le divinità dell’Olimpo, affresco,

1560 ca. (courtesy Vicenza, Centro Internazionale di Studi

 

di Architettura «Andrea Palladio», Fototeca).

Fig. 11. Fanzolo di Vedelago (tv), Villa Emo Capodilista,

 

settore sinistro della parete orientale del salone centrale,

Giovan Battista Zelotti, Giove, nella nicchia, sormonta unprigione, affresco, 1565 ca. (courtesy Vicenza, Centro Internazionale

 

di Studi di Architettura «Andrea Palladio»,

Fototeca).

 

del Maganza », ipotesi accolta anche da Domenico Bortolan,

Gian Battista Maganza Seniore, Bassano del Grappa, 1883, p. 104.

2 Cioè, come notato da G. van der Sman (cfr. L’Eolia di Villa

Trento, cit., p. 59

), lo stesso impiegato da Lucullo per quella della

 

sua casa.

 

 

un ritratto in sembianze di prometeo 171

 

Un sacerdote a l’antica che sacrifi chi secondo il ritto

antico

Turchi che adorino idoli

Un moise cum le tavole de la legge

Mori che adorino il sole. 1

 

Il testo prosegue, ancorché con un minor numero di

contenuti, per quanto si riferisce a Marte, ad Apollo,

a Venere, a Mercurio, e tace invece per gli attributi

di Diana, unica divinità esclusa da questa versione

del programma, e tanto più per Cupido (affiancato a

 

Venere sulla parete settentrionale), che appare come

una sorta di inclusione di ripiego, una volta stabilito

di adottare una base ottagonale per il riquadro superiore

del soffitto e di prevedere dunque due fi gure

 

di dèi per ciascuna crociera maggiore.

Al centro dell’ottagono superiore vediamo infi ne

raffigurato un personaggio maschile, che regge una

 

lunghissima fi accola, nudo o, meglio, appena abbigliato

con un drappo rosso svolazzante e attorcigliato, a

coprire i genitali e ad accompagnare, in qualche modo,

il gesto vigoroso. Il protagonista della raffigurazione

 

emerge da una nuvola rosa, che occupa quasi per

intero la campitura dell’ottagono. Nel mio saggio del

 

1 Per l’edizione integrale del testo cfr. ivi, pp. 65–66.

Fig. 12. Fanzolo di Vedelago (tv), Villa Emo Capodilista,

 

settore sinistro della parete occidentale del salone

centrale, Giovan Battista Zelotti, Nettuno, nella nicchia,sormonta un prigione, affresco,1565 ca. (courtesy Vicenza,

 

Centro Internazionale di Studi di Architettura « Andrea

Palladio », Fototeca).

Fig. 13. Fanzolo di Vedelago (tv), Villa Emo Capodilista,

 

loggia, Giovan Battista Zelotti, Callisto maltrattatada Giunone

, affresco, 1565 ca. (courtesy Vicenza, Centro

 

Internazionale di Studi di Architettura « Andrea Palladio »,

Fototeca).

Fig. 14. Fanzolo di Vedelago (tv), Villa Emo Capodilista,

 

settore sinistro della parete occidentale della Stanza delle

Veneri, Giovan Battista Zelotti, Venere soccorre Adone mortalmenteferito, affresco, 1565 ca. (courtesy Vicenza, Centro

 

Internazionale di Studi di Architettura « Andrea Palladio »,

Fototeca).

 

172 giuseppe barbieri

1983 avevo deliberatamente omesso qualsiasi elemento

 

di lettura del ciclo freschivo. Le opinioni degli altri

studiosi, che da allora si sono occupati invece più da

vicino dei signifi cati della raffigurazione, differiscono.

 

Per Bevilacqua, si tratterebbe di « Apollo-Helios […]

divinità cosmica per eccellenza, apparentata a Mitra

Fig. 15. Costozza, Villa Eolia, Giovanni Antonio Fasolo e/o Giovanbattista Maganza, Affreschi del padiglione di

 

Fran cesco Trento, 1560

ca.: porzione di volta sopra la parete occidentale, con le immagini, da destra, di Mercurio e Diana

 

(courtesy Giovanni Parolin, Rosà, vi).

 

Fig. 16. Costozza, Villa Eolia, Giovanni Antonio Fasolo e/o Giovanbattista Maganza, Affreschi del padiglione di

 

Francesco Trento, 1560

ca. : porzione di volta sopra la parete meridionale, con le immagini, da destra, di Saturno e Giove

 

(courtesy Giovanni Parolin, Rosà, vi).

 

 

un ritratto in sembianze di prometeo 173

Fig. 17. Costozza, Villa Eolia, Giovanni Antonio Fasolo e/o Giovanbattista Maganza, Affreschi del padiglione di

 

Francesco Trento, 1560

ca. : porzione di volta sopra la parete orientale, con le immagini, da destra, di Marte e Apollo.

 

(courtesy Giovanni Parolin, Rosà, vi).

 

 

e Christus Sol […che] testimonia lo sfondo culturale

platonizzante dell’iconografo di questa sala, il quale,

come signifi cato complessivo, volle forse esprimere il

concetto del ruolo di guida assunta dalle arti, e dalla

Fig. 18. Costozza, Villa Eolia, Giovanni Antonio Fasolo e/o Giovambattista Maganza, Affreschi del padiglione di Francesco

 

Trento, 1560

ca. : porzione di volta sopra la parete settentrionale, con le immagini, da destra, di Venere e Cupido

 

(courtesy Giovanni Parolin, Rosà, vi).

 

poesia, nello svolgersi della civiltà umana ». 1 Sponza,

 

ma più per il nome del villino e per il fatto che la

 

1 A. Bevilacqua, Ricerche e notizie, cit., p. 908.

 

174 giuseppe barbieri

 

stanza insistesse sul Carcere dei Venti, pare alludere,

viceversa, a un altrettanto improbabile Eolo. Loredana

Olivato ha invece ipotizzato che debba trattarsi

di Prometeo, ricavando e sapientemente ritessendo

alcune considerazioni dal mio lavoro ; per van der

Sman non possono sussistere dubbi di sorta : « Nell’apertura

centrale al culmine della volta troneggia

Prometeo con una torcia accesa ». 1

 

Non troneggia di sicuro, ma si tratta senz’altro di

lui : occorre aggiungere tuttavia che nessuno ha sin

qui notato l’assoluta originalità che connota in questa

circostanza, nelle adozioni iconografi che, il mitico

Titano. In effetti, viceversa, questa raffigurazione si

 

distacca non solo dai canoni prevalenti che si erano

sino a questa data dispiegati nell’arte moderna occidentale,

2 ma anche da ogni altra che compare, in

 

questa fase, nel contesto veneto, dove (e anticipo un

punto su cui sarà indispensabile ritornare) la fi gura

di Prometeo assume comunque, nel corso del xvi

 

secolo, una declinazione del tutto specifi ca.

Lasciamo tuttavia sullo sfondo, per il momento, alcune

delle questioni che abbiamo affacciato. L’esistenza

 

di un preciso programma iconografi co ha infatti

registrato una precisa ricaduta anche sul campo delle

possibili attribuzioni, per quanto concerne l’autore

degli affreschi dell’Eolia. Donata Battilotti ha infatti

 

rintracciato un documento, in cui il pittore, di origine

comasca ma vicentino di adozione, Giovanni Antonio

Fasolo rivolge una esplicita ammonizione a Francesco

Trento in merito a una possibile conclusione dell’intervento

di decorazione nella sala del padiglione di

Costozza che non lo coinvolgesse ; 3 è il 20 febbraio

 

del 1570 e a Fasolo risultava che il

 

Magnifi co et Eccellente dottor di leggie Francesco Trento

habbia condutto nella villa di Costozza, a casa sua, Cornelio,

fi ollo de magistro Domenego da Valdagno pittor per

far lavorare in una sua opera già principiata e la maggior

parte fatta per il ditto messer Zuanantonio.

 

L’artista richiedeva in sostanza una perizia che certifi –

casse il peso e il valore del suo operato sin lì prodotto.

Non conosciamo il seguito, sappiamo poco o nulla

altresì del Cornelio nominato, possiamo intuire che

si parlasse di « maggior parte » perché ancora non

era stato avviato il seguito dell’intervento, quello che

comprendeva i « 7. quadri sotto alli .7. pianeti » ma occorre

 

subito aggiungere che il documento rintracciato

rischia forse di ingarbugliare, anziché risolvere, la

faccenda della paternità degli affreschi : i quali, si sarà

 

compreso, in forza della data dell’esposto riceverebbero

anche un circostanziato riferimento cronologico,

che dilata di almeno dieci anni il termine acquisito

per la defi nizione architettonica del padiglione, con

l’ulteriore conseguenza di sovrapporlo quasi ai primi

interventi di decorazione nella Rotonda. Come

abbiamo visto, alcuni eruditi berici del xix secolo

 

riferiscono a Giovanbattista Maganza, pittore, oltre

che poeta, allievo di Tiziano, di fama certamente

non inferiore a quella di Fasolo, il frammento di

codice ambrosiano con l’indicazione del programma

iconografi co del soffitto in esame, 4 implicitamente e

 

conseguentemente designandolo anche a esecutore del

programma e per la verità un altro testo, contenuto

sempre all’interno del cod. A.16 inf., uno dei più importanti,anzi, e cioè il lungo Capitolo del Maganza sopra

il ventiducto del molto Illustre et Eccellentissimo Signore Francesco

Trento, 5

pare alludere a un coinvolgimento diretto di

 

Giovanbattista nella decorazione dell’Eolia : 6

 

 

Io qui lieto mi vivo, e di due belle

Donne contemplo e pingo la beltade

Che farian suspirar Zeusi ed Apelle. 7

 

Si chiamavano Anna e Olimpia, come leggiamo nel

seguito del componimento e devono essere identifi –

cate, come ho a suo tempo proposto, 8 nella sorella

 

e nella prima moglie di Francesco Trento, e forse

anche con i due busti femminili molto rovinati

che sormontano le allegoriche rappresentazioni della

Terra e del Fuoco nella « stanza Apolline ». Il dato

più interessante è tuttavia un altro. La cronologia

internamente inferibile dal Capitolo, che sottolinea

 

come l’Eolia non fosse ancora stata portata a termine,

potrebbe confi gurare anche per gli affreschi (a

 

proposito dei quali io seguito tuttavia a supporre più

plausibile la mano di Fasolo) una cronologia appena

successiva alle per altro semplicissime opere murarie.

È comunque inutile inoltrarsi nella questione, che

resta controversa, tanto a livello di determinazione

cronologica quanto attributiva.

Torniamo piuttosto ai contenuti del tronco Disegnodelle pitture che sono nella stanza Apolline. Il complessivo

 

tema del programma è del tutto scoperto e si riferisce

all’ambito degli infl ussi astrali e planetari che Jean

Seznec, ma sulla scorta di una tradizione critica precedente,

in cui spiccano gli interventi di Hauber del

1916 (Planetenkinderbilder und Sternbilder) e di Fritz Saxl

 

nel 1918–1919 (Probleme der Planetenkinderbilder), ha chiamatoi « fi gli dei pianeti » :

9 un codice di raffigurazione

 

– parallelo a quello che si preoccupava di rintracciare

le infi nite relazioni tra macro e microcosmo, anche

attraverso vere e proprie mappature – impegnato a

evidenziare l’infl uenza dei pianeti sulle attività, sui

 

1 G. J. J. van der Sman, La decorazione a fresco, cit., p. 143.

2 Cfr. Olga Raggio, The Myth of Prometheus. Its survival and

metamorphoses up to the eighteeth century

, « Journal of the Warburg

 

and Courtauld Institutes », xxi, 1958, pp. 44–62.

 

3 Cfr. Donata Battilotti, Nuovi documenti per Palladio (con un’aggiunta

archivistica al Fasolo), « Arte Veneta », xxxi, 1977, pp. 232-239 :qui in particolare a p.

234 (il documento è riportato per esteso

 

a p. 239).

 

4 Cfr. supra, p. 172, nota 1. 5 Occupa i ff. 27r–31v.

6 Tesi condivisa per altro da una lunga tradizione critica, da

 

Magrini (1845) a Sgarbi (1980) : vedila sintetizzata in A. Bevilacqua,

Ricerche e notizie, cit., p. 909. 7 Cod. A. 16 inf., f. 29r.

 

8 Cfr. G. Barbieri, Il vento e la legge, cit., pp. 121–122.

9 Cfr. Jean Seznec, La sopravvivenza degli antichi dèi. Saggio sul ruolo

della tradizione mitologica nella cultura e nell’arte rinascimentale (1980

),

 

trad. it., Torino, Bollati Boringhieri, 1990, pp. 101 ss.

 

 

un ritratto in sembianze di prometeo 175

 

Fig. 19. Costozza, Villa Eolia, Giovanni Antonio Fasolo

e/o Giovanbattista Maganza, Affreschi del padiglionedi Francesco Trento, 1560 ca. : scorcio della parete occidentale,

 

con una delle due porte d’accesso al padiglione

(courtesy Giovanni Parolin, Rosà, vi).

Fig. 20. Costozza, Villa Eolia, Giovanni Antonio Fasolo e/o Giovanbattista Maganza,Affreschi del padiglione di

 

Francesco Trento, 1560

ca. : una più ampia inquadratura della parete occidentale, che consente di apprezzare le specchiatu –

 

re in cui non è stato completato l’originario programma iconografi co (courtesy Giovanni Parolin, Rosà, vi).

 

 

comportamenti morali, sul profondo destino degli

uomini. In qualche misura il tema era stato ripreso

e sviluppato (con un buon grado di ermeticità, in

ogni senso) da Giulio Camillo Delminio nel suo

mirabolante Teatro della Memoria che aveva attirato

le attenzioni, vivente l’Autore, di Francesco I e di

Alfonso d’Avalos, governatore spagnolo di Milano, le

preoccupazioni di Erasmo, la probabile collaborazione

di Tiziano ; 1 e che, dopo la sua morte repentina,aveva trovato, nella convulsa redazione affidata a Girolamo

 

Muzio e successivamente curata da Ludovico

Dolce, 2 un assai più ampio pubblico. Nell’ambito purcosì singolarmente a

ffollato dei Planetenkinderbilder (che

 

trovano naturalmente nel ciclo ferrarese di Schifanoia

e in quello padovano nel salone del Palazzo della

Ragione due exempla padani di fortissimo impatto)

 

credo valga la pena di ricordare comunque quest’opera,

che pure ci giunge priva di illustrazioni : non

solo per l’analoga struttura planetaria, che è tuttavia

eptagonale in Giulio Camillo, 3 ma soprattutto per

 

il ruolo del tutto particolare che proprio Prometeo

fi nisce per assumere nella complessiva costruzione

del Teatro. 4 La fi gura di quest’ultimo, infatti, era

 

stata individuata da Delminio come l’immagine che

poteva più efficacemente connettere tra loro quelle

 

che rinviavano « a tutte le arti, così nobili, come vi-

1 Cfr. il mio Un segreto europeo : il “teatro” di Giulio Camillo, in Le

Venezie e l’Europa. Testimoni di una civiltà sociale, a cura di GiuseppeBarbieri, Cittadella (

pd), Biblos, 1998, pp. 103–111, con sintetica

 

ricapitolazione bibliografi ca fi nale : ma corre l’obbligo almeno

di alludere agli studi su Giulio Camillo di Frances Yates, Lina

Bolzoni, Loredana Olivato, Corrado Bologna, ecc.

2 Cfr. Giulio Camillo, L’Idea del Theatro, in Fiorenza, appresso

 

Lorenzo Torrentino, 1550.

3 Per questo parlavo di una soluzione di ripiego per l’inserimento

 

di Cupido, sulla parete settentrionale, al fi anco di Venere.

4 « Ma per dar (per così dir) ordine all’ordine, con tal facilità,

 

che facciamo gli studiosi, come spettatori, mettiamo loro davanti

 

176 giuseppe barbieri

Fig. 21. Costozza, Villa Eolia, Giovanni Antonio Fasolo e/o Giovanbattista Maganza, Affreschi del padiglione di

 

Francesco Trento, 1560 ca. : inquadratura generale della volta (courtesy Giovanni Parolin, Rosà, vi).

 

le dette sette misure, sostenute dalle misure de’ sette pianeti in

spettaculo, o dir vogliamo in Theatro distinto per sette salite.

Et, perché gli antichi Theatri erano talmente ordinati, che sopra

i gradi allo spettacolo più vicini sedevano i più honorati : poi di

mano in mano ne’ gradi ascendenti quelli, che erano di minor

dignità, talmente, che ne’ supremi gradi sedevano gli artefi ci […] :

noi, seguendo l’ordine della Creation del mondo, faremo seder

ne’ primi gradi le cose più semplici, o più degne, o che possiamo

imaginar esser state per la disposition divina davanti alle altre

cose create. Poi collocheremo di grado in grado quelle, che appresso

sono seguite : talmente, che nel settimo, cioè nell’ultimo

grado superiore, sederanno tutte le arti, et facultà, che cadono

sotto precetti : non per ragion di viltà, ma per ragion di tempo,

essendo quelle, come ultime da gli huomini state ritrovate »

(Giulio Camillo Delminio, L’Idea del Theatro […], Portogruaro,

 

Società di Storia, 1984, pp. 35–36. Per la forma che il Teatro diGiulio Camillo doveva assumere rimando al mio

L’artifi ciosa rota :il teatro di Giulio Camillo, in Architettura e utopia nella Venezia del Cinquecento,

 

Catalogo della Mostra a cura di Lionello Puppi, Milano,

Electa, 1980, pp. 209–218.

 

un ritratto in sembianze di prometeo 177

 

1 G. Camillo Delminio,

L’Idea del Theatro, cit.

 

(ed. 1984), p. 96.

2 Sul tema del ritratto esiste una bibliografi a talmente ampia

 

da risultare non convocabile : mi limito a ricordare alcuni Atti di

Convegni recenti, oltre al volume di Pommier di cui alla nota 6 a

 

p. 180 e ai tre volumi curati da Gentili di cui alla nota 4 di questapagina :

Luciana Gentili, Patrizia Oppici (a cura di), Tra parola

e immagine : effigi, busti, ritratti nelle forme letterarie, Atti del Convegnointernazionale di Studi (Macerata-Urbino,

3–5 aprile 2001), Pisa,

 

Istituti editoriali e poligrafi ci internazionali, 2003 ; AlessandroPontremoli

(a cura di), Il volto e gli affetti : fi siognomica ed espressione

nelle arti del Rinascimento

, Atti del Convegno internazionale di Studi

 

(Torino, 28–29 novembre 2001), Firenze, Leo S. Olschki editore,

 

2003. Un’eccezione merita tuttavia l’anticipatorio e ancora valido

 

saggio di Enrico Castelnuovo, Il signifi cato del ritratto pittorico nellasocietà

, in Storia d’Italia, coordinata da Ruggiero Romano, Corrado

 

Vivanti, Torino, Einaudi, 1973, v (ii), pp. 1031–1094.

 

3 Cfr. G. Barbieri, Il vento e la legge, cit., pp. 104–106.

4 Cfr. a proposito di questo particolare elemento le considerazioni

 

di Claudia Cieri Via, L’immagine del ritratto. Considerazionisull’origine del genere e sulla sua evoluzione dal Quattrocento al Cinquecento

,

 

in Il ritratto e la memoria. Materiali, 1

, a cura di Augusto Gentili,

 

Roma, Bulzoni, 1989, p. 48.

 

5 Sull’attività ritrattistica di Fasolo cfr. Maria Elisa Avagnina,

 

Margaret Binotto, Giovanni Carlo Federico Villa

 

(a cura di), Pinacoteca civica di Vicenza. Dipinti dal xiv al xvi secolo

 

Vicenza, Fondazione Giuseppe Roi e Musei Civici di Vicenza,

 

2003 (« Catalogo scientifi co delle collezioni », i), pp. 410–418.

 

6 Cfr. G. Barbieri, Il vento e la legge, cit., pp. 104–106.

 

7 Cfr. G. J. J. van der Sman, La decorazione a fresco, cit., p. 151.

8 Tempi troppo ristretti non mi hanno poi consentito di

 

partecipare agli Atti del Convegno.

li » : 1 esse, come ho riportato in nota, « cadono sotto

 

precetti », e sono elencate e raggruppate, di conseguenza,

secondo lo schema planetario che connota

l’intera struttura della machina mnemonica. Quando

 

giungeremo a occuparci delle ragioni di fondo che,

a mio avviso, portano a determinare il complessivo

disegno iconografi co dell’Eolia non risulteranno certo

inutili alcune delle considerazioni che Giulio Camillo

allinea nell’Idea,

 

sotto il ‘grado’ di

Prometheo.

5. Il ritratto

 

di Francesco

Trento

Il codice A. 16 inf.

 

della Biblioteca Ambrosiana

di Milano

contiene, con molti

testi letterari, anche

un piccolo olio

su pergamena che,

malgrado alcuni cu –

riosi misunderstanding

 

ottocenteschi, non

può che consegnarci

il verosimile ritratto

del patron di

 

Villa Eolia, Francesco

Trento : 2 delresto, il dossier milanese

 

si intitola per

l’appunto Gasparis

Tr i s sinis aliorumque Illustrium

Poetarum in

effigiem & Aeoliam per

 

Ill.mi & Ecc.mi viri

Francisci Tridenti. Ci

 

sono ulteriori indizi

a conferma. 3 Il piccolo

 

dipinto reca inoltre un’esplicita e signifi cativa

iscrizione « francisci morlinus tridentius aeoliae

 

et ventiductorum auctor aetatis suae 4 .A. xxxii »,e quest’ultima indicazione ci riallaccia pressoché

adannum alla data di conclusione dei lavori (almeno architettonici)

 

per il piccolo padiglione. Nel mio saggio

del 1984

proponevo di attribuire il ritratto a Giovanni

 

Antonio Fasolo 5 (o almeno alla sua intima cerchia),

 

6 mentre van

 

der Sman ha sostenuto

trattarsi di una

copia dell’avvio del

xvii secolo ; 7 per il

 

nostro intento nella

presente circostanza

(e forse in assoluto)

il problema attributivo

è trascurabile.

Ci interessano, in

realtà, le fattezze.

Perché le ritroviamo,

convincentemen te

riprese, anche in

quelle del Prometeo

 

al centro dell’ottagono

della « stanza

Apolline ». Ho annunciato

tale insolita

e sin qui mai notata

somiglianza nel

2004, all’InternationalSym posium Academia

Eolia Revisited.

Pneuma in Renaissance

Architecture, organizzato

 

a Costozza dalla

School of Architecture

dell’University

of Notre Da me

dell’Indiana, grazie

all’im pegno di Barbara

Kenda. 8 Il dato

 

risulta certamente

cu rioso, perché disponiamo

davvero di pochissimi esempi cinquecenteschi

(e a differenza invece di più remoti passati, come

 

Fig. 22. Milano, Biblioteca Ambrosiana, cod. A. 16. inf., f. 2v: ambito di

Giovanni Antonio Fasolo, Ritratto di Francesco Trento nel 1560, olio

 

su carta.

 

178 giuseppe barbieri

 

dimostrano gli studi di Vermeule ripresi da Kantorowicz

1) in cui un committente non solo si fa ritrarre

 

in posizione eminente all’interno di un ciclo decorativo,

ma per di più assumendo le sembianze e i gesti

di un personaggio di natura, per così dire, divina o

semi divina. Senza ritornare alle pur decisive osservazioni

di Warburg in merito alla nuova attenzione già

tardoquattrocentesca per le concrete sembianze degli

dèi e per le prime intrusioni di uomini e donne 2 in

 

scene che dovrebbero invece scandire, giusta Esiodo,

una precisa esclusione spaziale dei luoghi degli dèi e

degli eroi dai contesti della civiltà umana, 3 potremmoricordare in tal senso, sulla scorta di Seznec, 4 l’affresco

 

di un allievo di Primaticcio nella Torre della Lega del

Castello di Tanlay, che raffigura Enrico II di Francia

 

e la sua corte nei modi dell’assemblea degli dèi sull’Olimpo

; Claudia Cieri Via 5 ed Édouard Pommier 6

 

hanno invece richiamato la nostra attenzione, pur

con sottolineature diverse, sul ritratto in sembianze

di Nettuno che il Bronzino realizza, nel quarto decennio

del secolo (e addirittura in più versioni), per

Andrea Doria. Per altri versi, che non riguardano

però le divinità olimpiche e spalancano uno scenario,

problematico e critico, se possibile anche più affollato,

 

si considerino le osservazioni di Wind a proposito

dei ritratti allegorici di Grünewald (e di Cranach) per

Alberto di Brandeburgo. 7

È inutile negare che il rango di questi effigiati non

 

è però confrontabile con quello, assai più modesto,

di Francesco Trento : anche questo dato aggiunge

insomma elementi di peculiare novità all’affresco

 

di Costozza, per quanto siano certamente ancora

di là da venire le considerazioni precettistiche, soprattutto

post-tridentine che, nell’ultimo scorcio del

Cinquecento, e comunque riprendendo precedenti

osservazioni di Leonardo, fi niranno per disciplinare

più convenientemente la pratica ritrattistica. 8 Ma se confrontiamomentalmente la raffigurazione di Francesco

 

Trento nelle sembianze di Prometeo con quelle altre

immagini di pur reale contiguità tra rappresentazioni

1 Cfr. Ernst H. Kantorowicz, La sovranità dell’artista. Mito e

immagine tra Medioevo e Rinascimento, a cura di M

aurizio Ghelardi,

 

Venezia, Marsilio, 1995, p. 66.

 

 

2 Cfr. A. Warburg, Opere, i, cit., pp. 81 ss.

3 Cfr. Ernst Robert Curtius, Letteratura europea e Medio Evo

latino (1948

), trad. it. a cura di Roberto Antonelli, Firenze, La

 

Nuova Italia, 1992, p. 191.

 

 

4 Cfr. J. Seznec, La sopravvivenza, cit., p. 27.

 

5 Cfr. C. Cieri Via, L’immagine del ritratto, cit., p. 78

6 Cfr. Édouard Pommier, Il ritratto. Storia e teorie dal Rinascimento

all’Età dei Lumi (1998), trad. it., Torino, Einaudi, 2003, p. 112.

 

Fig. 23. Costozza, Villa Eolia, Giovanni Antonio Fasolo

e/o Giovanbattista Maganza, Affreschi del padiglionedi Francesco Trento, 1560 ca. : l’ottagono al centro della

 

volta, con il ritratto di Francesco Trento in sembianze di

Pro meteo (courtesy Giovanni Parolin, Rosà, vi).

 

Fig. 24. Costozza, Villa Eolia, Giovanni Antonio Fasolo

e/o Giovanbattista Maganza, Affreschi del padiglione diFrancesco Trento, 1560 ca. : l’ottagono al centro della volta,

 

con il ritratto di Francesco Trento in sembianze di Prometeo

(particolare) (courtesy Giovanni Parolin, Rosà, vi).

7 Cfr. Edgar Wind, Un ritratto allegorico di Grünewald : Albrecht

von Brandenburg nelle vesti di sant’Erasmo, 1937 ; vedilo ora in Idem,

L’eloquenza dei simboli 1983–1992, trad. it., Milano, Adelphi, 1992,

 

pp. 93–120.

8 Cfr. É. Pommier, Il Ritratto, cit., pp. 119 ss. ; si pensi in particolare

 

alle posizioni che Giovanni Paolo Lomazzo esprime nelsuo

Trattato dell’arte della pittura, Milano, 1584, p. 432 : « mentre ai

 

tempi dei Romani solo si rappresentavano i principi e gli uomini

 

un ritratto in sembianze di prometeo 179

di uomini e raffigurazioni di dèi che ho ricordato

 

in precedenza, ancorché in estrema sintesi, è agevole

percepire il desiderio di marcare una distinzione, di

celebrare, in qualche modo, una differenza.

 

Anche in un altro senso. L’ampia letteratura iconologica

ed emblematica che scandisce soprattutto la

prima parte del xvi secolo (senza risalire a più antichi

 

testi mitografi ci ed ecfrastici, e rinviando ancora per

un momento la presa in esame della Genealogia deorum

 

di Boccaccio, penso alle opere, tra gli altri, di Achille

Bocchi, Andrea Alciato, Lilio Gregorio Giraldi, Natale

Conti, Giovanni Pierio Valeriano, Vincenzo Cartari,

in attesa di quella che in qualche misura ne darà

la sintesi, determinando, soprattutto per i pittori, uno

standard destinato a durare per quasi tre altri secoli,

e cioè l’Iconologia di Cesare Ripa) non si fonda certo,

 

per quanto concerne i criteri di rappresentazione delle

antiche divinità, su puntuali sforzi di restituzione

fi siognomica : l’evemerismo, rammentato da Seznec

all’inizio del suo studio così anticipatorio, come pure

le progressive fusioni tra tradizione classica e cristiana

sono infatti elementi che rendono marginale, se non

del tutto ozioso, ogni tentativo in tal senso.

Proprio per questo l’affresco nell’ottagono superioredel soffitto dell’Eolia non può in alcun modo

 

risultare, a mio avviso, come un’adozione iconografi ca

casuale, non può confi gurare un modo quale che sia di

risolvere una partitura decorativa, come abbiamo veduto,

così articolata e complicata, sebbene non carica

di enigmi, anzi quasi di sin troppo scoperta, evidente

leggibilità. In altre parole ciò signifi ca che la scelta di

rappresentare il padrone di casa nelle vesti (succinte,

per altro) di Prometeo deve avere un senso abbastanza

preciso, nella cultura fi gurativa veneta del tempo, e

anche una sua percepibile diffusività ; e che, in secondo

 

luogo, questa specifi ca immagine deve racchiuderne

un altro, più puntualmente riferito alla personalità e

alle ambizioni di Francesco Trento. Ribadisco ancora

una volta : Prometeo deve avere un senso generale e

un senso peculiare. Alle ipotesi di una loro possibile

ricomposizione dedicherò la parte fi nale di questo

mio intervento.

 

6. « Si Come Fingono che facesse Prometheo » 1

Dopo il lungo saggio di Olga Raggio del 1958, apparso

 

sul « Journal » del Warburg Institute, tra la

fi ne di quel decennio e l’avvio del successivo Nicola

Ivanoff intervenne più volte, e possiamo aggiungere

pour cause, su alcune specifi che connotazioni che la

 

fi gura di Prometeo assume in terra veneta, soprattutto

nel corso del Cinquecento. 2 In effetti la Raggio aveva

 

sì fornito una restituzione senz’altro accurata dell’iconografi

a prometeica e delle sue trasformazioni, anche

nei secoli della prima età moderna, ma la sua analisi

appariva soprattutto imperniata nella disamina delle

molte stratifi cazioni semantiche che si erano venute

condensando sui sensi, più ancora che sui signifi cati,

da attribuire al Titano : per questa via non aveva

saputo tuttavia cogliere certe particolari declinazioni

venete, ad es. quelle che investono in particolare

l’aspetto fi sico del fi glio di Giapeto. Rispetto ai due

topoi prevalenti dell’iconografi a consolidata – uno che

 

fi ssa la punizione comminata da Giove, con il supplizio

straziante dell’aquila sulle rocce del Caucaso ; l’altro

che ci consegna viceversa una sorta di demiurgo,

in grado di animare con la scintilla divina un uomo

che è semplice impasto di fango o comunque non

 

vittoriosi, ora l’arte del ritrarre al naturale è divulgata tanto che

quasi tutta la sua dignità è perduta, non solamente perché senza

alcuna distinzione si tollera da’ principi e dalle repubbliche

ch’ognuno con ritratti cerchi di conservare la memoria sua eterna

et immortalare, ma perché ogni rozzo pittore, che appena sa

come impiastrare carte, vuol retrarre », e si considerino in questo

senso anche le considerazioni di Michelangelo, riferite da Vasari

e rammentate da Pommier.

Fig. 25. Costozza, Villa Eolia, padiglione di Francesco Trento, 1560 ca. : nel montaggio fotografi co, le due iscrizioni che

 

sormontano le porte di accesso alla «stanza Apolline» (courtesy Giovanni Parolin, Rosà, vi).

1 Giovanni Boccaccio, Delle Geneologia de gli Dèi […] Libri

Quindeci […] tradotta già per M. Gioseppe Betussi

, In Venetia, Per il

 

Valentini, mdcxxvii, iv, p. 68r.

 

2 Cito i due saggi che mi sembrano più signifi cativi : Nicola

 

Ivanoff, I cicli allegorici della Libreria e del Palazzo Ducale di Venezia, in

Rinascimento europeo e rinascimento italiano, a cura di Vittore Branca,

 

Firenze, Sansoni, 1962, pp. 281–297 ; Idem,

Il mito di Prometeo nell’arte

veneziana del Cinquecento, « Emporium », fasc. 2, 1963, pp. 51–58.

 

 

180 giuseppe barbieri

 

ancora giunto al di là di una vitalità animale, poco

più che ferina 1 – esistono infatti alcune signifi cative

 

varianti : la prima consiste nel fatto che la punizione

divina non è sottolineata con particolare enfasi, ribadendo

implicitamente l’importanza del saggio furto

che avrebbe dato inizio defi nitivo alla civiltà umana

(il che si esprime, ad es., con specifi che raffigurazionidella liberazione di Prometeo); 2 la seconda ci

 

consegna un Titano meno atteggiato nei panni del

sapiente e al contrario riconducibile piuttosto, anche

per le fogge degli indumenti, all’eroicità, soprattutto

fi sica, di Ercole.

Non è naturalmente questa la sede per proporre un

compiuto regesto delle occorrenze di Prometeo nell’arte

del Rinascimento veneto (che pur resta da fare,

risultando lacunosa anche la sequenza proposta su

« Emporium » da Ivanoff). Meritano invece di essere

 

riprese, e in parte sviluppate, un paio di sue considerazioni.

La sorprendente insistenza di immagini di

Prometeo negli apparati decorativi, plastici e pittorici,

della sansoviniana Libreria di San Marco – il fulcro

dell’analisi dello studioso – non può essere trascurata.

Essa attesta infatti, nel contesto culturale veneto, l’importanza

attribuita al fi glio di Giapeto prima di tutto

in quanto emblema di una convincente attività intellettuale

: sulla scorta della tradizione sintetizzata fi no

a un certo punto da Boccaccio e poi più scarsamente

ripresa, per esempio da Vincenzo Cartari, Prometeo è

indicato come colui che può rendere la cultura, la speculazione,

l’attività intellettuale, ripeto, come fulcro

di una società civile ; 3 ma non è solo questo il punto :

 

sulla base di una competenza antiquaria che non può

essere scarsamente considerata (si pensi infatti al ruolo

di Vettor Grimani nella defi nizione iconografi ca

degli apparati della Loggetta e della Libreria 4 e alla

 

tradizione che la sua famiglia incarna), il Titano è

esibito come colui che può e sa collegare la capacità

di rifl essione teorica alla concretezza di quella stessa

società, e dunque anche alla sfera della tecnologia e

della tecnica, e ai servizi di queste ultime allo Stato.

Proprio in tale prospettiva ripenso alla suggestiva

defi nizione dell’Arsenale, in Tafuri, come luogo di

Vulcano, 5 ed è pressoché inutile replicare le considerazioni

 

di Panofsky sugli stretti vincoli tra il dio

1 Su cui si era appuntato in particolare il celebre ed esemplare

 

saggio di Erwin Panofsky, Preistoria umana in due cicli pittorici diPiero di Cosimo

, in Idem, Studi di iconologia. I temi umanistici nell’arte

del Rinascimento (1939

), trad. it. a cura di Giovanni Previtali,

 

Torino, Einaudi, 1975, pp. 39–88.

 

2 Una delle quali, nella palladiana Villa Godi di Lonedo

 

di Lugo Vicentino, a opera di Battista Zelotti, coinvolge non

casualmente, con Ercole, la stessa Minerva.

Fig. 26. Costozza, Villa Eolia, padiglione di Francesco Trento, 1560 ca.: inquadratura dell’ottagono in pietra, traforato, al

 

centro del pavimento della «stanza Apolline», elemento di comunicazione con il sottostante Carcere dei Venti (courtesy

Giovanni Parolin, Rosà, vi).

3 Cfr. Boccaccio, Delle Geneologia, cit., p. 68r : « quasi di nuovo

 

[Prometeo] li cria, ammaestra & instroisce, & con le sue dimostrationi

d’huomini naturali gli fa con costumi civili, & perscienza

& virtù famosi di maniera, che chiaramente si vegga altri

haverli prodotti la Natura, & altri haverli riformati la dottrina ».

 

4 Cfr. N. Ivanoff, I cicli allegorici, cit., p. 285, Manfredo Tafuri,

Venezia e il Rinascimento. Religione, scienza, architettura, Torino,

 

Einaudi, 1985, specialmente pp. 167–168.

5 Cfr. Idem, « Sapienza di stato » e « atti mancati » : architettura e tecnica

urbana nella Venezia del ‘500, in Architettura e utopia, cit., pp. 16–39.

 

un ritratto in sembianze di prometeo 181

 

e il Titano (ed Eolo, la qual cosa non può certo che

attirare la nostra attenzione) : ciò potrebbe forse dare

allora un senso alla dislocazione della ormai perduta

statua di Prometeo che era stata posta all’inizio della

sequenza sommitale della Libreria Marciana, in ideale

collegamento urbano proprio con l’Arsenale, il cuore

segreto dello stato in cui si riponeva e si applicava

la sapienza organica allo sviluppo della Repubblica.

Prometeo può in sostanza essere inteso, in terra veneta

e in questa fase storica, ossia nei decenni centrali del

xvi secolo, come l’alfi ere di una nuova organizzazione

 

civile e sociale, addirittura come una delle immagini

di sintesi, sia pure non immediatamente e non da

tutti percepibile, del programma di renovatio urbis e di

 

riforma della Repubblica che è incarnato dal doge

Andrea Gritti, i cui rapporti con Vettor Grimani sono

ben noti, e sono stati opportunamente segnalati, lo

abbiamo ribadito, da Tafuri.

Si tratta, come si vede, di una prospettiva di interpretazione

piuttosto diversa da quella a suo tempo

fornita, sulla scorta di Ivanoff, dalla Crosato Larcher 1

 

a proposito delle decorazioni zelottiane a Villa Foscari,

la Malcontenta, dove è dato cogliere un’altra delle

non infrequenti occorrenze della raffigurazione di

 

Prometeo in terra veneta. D’altro canto, se torniamo

alla sequenza di fonti cinquecentesche escusse dalla

Raggio, 2 a cominciare da quelle più infl uenzate dalle

 

precedenti sottolineature di Boccaccio e Ficino, come

il Liber de Sapiente di Charles de Bovelles (1509), possiamo

 

notare da un canto la genericità dei sensi attribuiti

al Titano, dall’altro l’ambiguità che li regola, anche

a seconda che lo si consideri in ascesa verso il cieloo in discesa da questo : egli è infatti emblema di una

 

conoscenza acquisita per mezzo della fede in Achille

Bocchi, che lo contrappone all’arrogante curiosità di

Fetonte e di Icaro, 3 e invece segno di una curiositasfugienda negli Emblemata di Alciato, dove è pressoché

 

sovrapposto alle fi gure di Tizio e di Icaro ; simbolo

di punizione celeste e, insieme, di gratitudine (quando

è rappresentato con un anello), negli Hieroglyphica diPierio Valeriano ; nelle Imagini di Cartari, dove svolge

 

un ruolo certamente non secondario, dato che apre

la solenne introduzione ove si sottolinea il bisogno

per gli uomini del culto religioso, 4 e dove altresì

 

compare un esplicito accenno al ruolo civile del Titano,

5 Prometeo diviene un equivalente dell’artista,

 

dato ch’egli pare sintetizzare la relazione da tempo

stabilita in Alberti tra « industria » e « diligenza », 6 maper Natale Conti 7 i danni arrecati dall’infausto furto

 

da lui compiuto, che fi nisce per strappare gli uomini

alla felicità dello stato naturale, equivalgono invece a

quelli della moderna arroganza dello spirito, l’eresia

protestante.

Dobbiamo davvero chiederci a questo punto, per

tornare al nostro specifi co esercizio di lettura, come

questa congerie di fonti, tutte per altro di notevole

diffusione e di non problematico accesso, potesse aver

 

pesato su un’adozione tanto singolare come quella che

Francesco Trento presceglie per il soffitto dell’Eolia.

 

Sarebbe certamente intrigante riprendere e provare

ad adattare l’insolita prospettiva fornita da Natale

Conti e in tal senso rileggere, ad es., i rapporti di

Trento con Mario Repeta, 8 committente di un edifi

 

cio palladiano, la distrutta Villa di Campiglia, che

è una delle più insolite invenzioni dell’architetto, e

che è stata spesso letta come insegna di un nuovo

modo di concepire i rapporti tra le classi sociali, data

l’assoluta omogeneità tra corpo padronale e annessi

rustici, come se gli intenti e il progetto recassero

qualche implicita apertura a certe posizioni estreme,

quasi anabattistiche, dell’eresia. 9 Credo tuttavia che

 

insistere su questo possibile percorso condurrebbe a

inevitabili forzature, soprattutto perché smarrirebbe

le relazioni tra l’affresco del soffitto e gli altri soggetti

 

della volta.

Viceversa, e naturalmente, molte delle connotazioni

‘intellettuali’ che ci consegnano un Prometeo

sapiente, ri-creatore, promotore delle arti, si attagliano

in modo perfettamente congruo all’impegno di

ampia e complessa promozione culturale che Francesco

Trento ha dispiegato con tenacia per anni e

di cui ho cercato di dare conto nel mio saggio del

1984. Alcuni accenni, come ad es. la sua volontà di

 

ridenominare certi particolari toponimi, di trasfi gurare

alcune pratiche largamente in uso (come i ventidotti),

ci conducono esattamente in tale direzione.

E ciò basterebbe, ritengo, a motivare la scelta di

affidare le proprie sembianze alla raffigurazione del

 

Titano. Ma, anche in questo caso, alcuni elementi

non tornerebbero : penso soprattutto al fi sico atteg-

1 Cfr. Luciana Crosato Larcher, Postille alla lettura del ciclo della

Malcontenta dopo il restauro, « Arte Veneta », xxxii, 1978, pp. 223–229.

 

2 Cfr. O. Raggio, The Myth of Prometheus, cit., pp. 54–59.

3 Cfr. Achille Bocchi, Symbolicarum Questionum […] libri quinque,

 

Bologna, 1555, p. 287.

4 Cfr. Vincenzo Cartari, Le imagini de i Dèi de gli antichi, a

 

cura di Ginetta Auzzas, Federica Martignago, Manlio Pastore

Stocchi, Paola Rigo, Vicenza, Neri Pozza, 1996, p. 3 : « La qual

 

cosa è stata posta da alcuni sotto la favola di Prometeo, come

quel fuoco divino… ». 5 Cfr. ivi, p. 292.

6 Cfr. ivi, pp. 342–343 : « Prometeo parimente con l’iuto di costei

 

[Minerva] andò in cielo et involò il fuoco del carro del Sole,

col quale diede poi le arti al mondo, che sono perciò dette esser

venute da Minerva perché l’ingegno umano ha trovato ciò che

tra noi si fa, e trova anco tutto dì, e fallo con il mezo del fuoco

conciosiaché in tutte le arti due cose facciano di bisogno. L’una

è l’industria, e la inventione, l’altra il porre in opera, e fare quello,

che lo ingegno ha disegnato. Quella s’intende per Minerva e

questo per Volcano, ciò pel fuoco ». Per il binomio albertiano

cfr. il mio Giuditio, misura. Leon Battista Alberti, Niccolò Cusano e l’architetto

come intellettuale, « Museum Patavinum », iii, 1, 1985, pp. 51–74

:

 

specialmente 53–54. 7 Mythologiae, iv, 6.

 

 

8 Cfr. G. Barbieri, Il vento e la legge, cit., pp. 133–135.

9 Cfr. L. Puppi, Andrea Palladio, cit., p. 320 : « a Campiglia

 

Palladio visualizza un’intenzione ostile alla discriminazione e

all’esaltazione del privilegio, sino a offrir quasi un’incredibile

 

immagine d’integrazione alla “politica dei villani”, purifi cata

dall’umanistico richiamo all’egida della virtù ».

 

182 giuseppe barbieri

giamento del Prometeo eolico, raffigurato nudo, per

 

di più non in ascesa bensì in controllata ‘caduta’ dal

cielo di Olimpo, privo cioè di alcun attributo che ci

consenta di fi ssarlo immediatamente, senza indugi,

come sapiente.

Per quanto osserviamo, Francesco Trento ha voluto

inserirsi personalmente in una dettagliata ricapitolazione

degli dèi e degli infl ussi ch’essi esercitano

tramite i pianeti – ricordiamo il programma iconografi

co dettato, non condotto a termine e comunque

tramandatoci dal codice ambrosiano – sulle attività

umane. Francesco ha voluto insomma raffigurarsi

 

come dio. Ma le iscrizioni che troviamo sulle pareti

del padiglione e sul sottostante Carcere, come pure

alcuni testi letterari del dossier milanese ce lo affidano

 

piuttosto, lo abbiamo visto, come « un’Eolo ver, ch’il

fi nto rassomiglia ». Quale può essere la fonte (al di

là della rifl essione per immagini di Piero di Cosimo

analizzata da Panofsky : questa sì, tuttavia, di non

plausibile accesso) che può fi ssare agli occhi di Trento

una contiguità tra Prometeo ed Eolo ?

La risposta in realtà non è troppo difficile, e coincidecon la fonte che è forse quella più diffusa, più letta e

 

riletta, in un Rinascimento che ci appare, più spesso

di quanto saremmo portati a supporre, pervaso della

cultura, soprattutto letteraria, dell’epoca precedente.

Si tratta infatti, come ormai si sarà inteso, della Genealogia

 

di Giovanni Boccaccio. Abbiamo osservato in

precedenza 1 come alcuni passi della sua presentazione

 

di Prometeo potessero avallarne, autorevolmente,

un’interpretazione nel senso di un’intelligenza politica

e civile. Francesco Trento aveva certamente mostrato

di voler collegare la rifl essione intellettuale sua e del

circolo che attorno a lui si riuniva almeno ad alcuni

salienti della vita concreta, come ad es. la sfera dei

rapporti personali, coniugali, sessuali. La sua ostentata

capacità di controllo del vento lo abilitava in qualche

misura a proporre anche ulteriori e legittimate regolazioni,

quasi una sorta di legge per una società futura.

E tuttavia non credo sia stato questo l’elemento, nella

lettura di Boccaccio, che deve averlo colpito di più.

Sospetto altresì, come ho detto in precedenza, che

la scelta della fi gura al centro dell’ottagono possa

essere dipesa anche dalla lettura dell’Idea del Theatro di

 

Giulio Camillo : certo per il modo in cui Prometeo vi

viene presentato, con esplicite valenze sociali e civili,

e inoltre per come a Francesco poteva apparire, pur

nelle incertezze determinate da un testo volutamente

ermetico, la complessiva machina scenica impostata da

 

Delminio. Essa rivelava infatti una struttura che a un

gentiluomo tanto dedito alle problematiche architettoniche

(così nel ricordo di Palladio che abbiamo

rammentato in precedenza) non poteva non ricordare

l’ottagona Torre dei Venti di Andronico di Cirro,

che Vitruvio presenta all’inizio del suo De architectura,2

 

addirittura con qualche lieve assonanza con l’impian-

 

1 Cfr. supra, p. 182, nota 3.

 

to decorativo, similmente ottagono, dell’Eolia. 3

 

Torniamo tuttavia a Boccaccio, per la cui opera era

disponibile, dalla seconda metà degli anni ‘40, anche

 

la comoda traduzione del bassanese Giuseppe Betussi.

Nel iv libro della Genealogia il lungo medaglione su

 

Prometeo e sulla sua discendenza (Ifi s, Deucalione

e i suoi fi gli) approda senza soluzione di continuità

a quello di « Astreo fi gliuolo di Titano ottavo,

che generò Astrea & i Venti ». 4 Anche questi ultimi

 

condividono con Prometeo, in un certo senso, un

moto di ribellione contro Zeus e il divino castigo,

in quanto da lui « furono rinchiusi nelle caverne, &

confi nati sotto l’imperio d’Eolo ». 5 Il padre dei Venti,

 

seguita Boccaccio, è il Cielo stellato e il loro corso

fi ssato dal « movimento del Cielo, & da i Pianeti », 6

 

che costituisce il nucleo cruciale del programma iconografi

co del codice dell’Ambrosiana. Ma possiamo

aggiungere un breve passo ulteriore :

 

È stato poi detto quelli essere stati relegati nelle caverne

sotto l’imperio di Eolo ; conciosiache le Isole Eolide ; allequali

già signoreggiò Eolo, & acqua : del cui movimento

deriva il calore, & le spelonche sono piene d’Aere, & acque :

[…] esso calore risolve nell’Aere : il quale non potendo

formarsi in non capace luogo, esce fuori, & se la uscita è

stretta ; di necessità esce piu impetuoso, piu sonoro, & piu

lungo : & cosi uscendo i generati Venti fuori delle Caverne

delle Isole Eolide, è stato fi nto, quelli esser stati relegati

ne gli antri di Eolo, & sotto l’imperio suo posti.

 

Potremmo sottolineare, naturalmente, il contrasto

tra la fi nzione del mito remoto (« è stato fi nto ») e

l’autentico controllo sul corso dei venti, quello che

Francesco Trento rivendica, in termini espliciti, con

l’iscrizione sulle sovraporte del padiglione, la cui prima

parte (in aestv temperies) – e ringrazio Joseph

 

Rykwert per la lucida agnizione in situ

– deriva direttamente

 

dalla Sequenza della liturgia di Pentecoste : 7

 

 

il che potrebbe forse anche ricondurci (ma valgano

le considerazioni suesposte) ai rapporti tra Prometeo

e l’eresia denunciati da Natale Conti.

Mi interessa di più sottolineare, giunti ormai, e

fi nalmente, alla conclusione del nostro discorso, come

nella Genealogia di Boccaccio Francesco Trento o qual-

2 Cfr. G. Barbieri, schede 258–260, in Architettura e Utopia, cit.,

 

pp. 215–217.

3 Cfr. Vitruvio, De architectura, a cura di Pierre Gros, trad. e

 

comm. di Antonio Corso ed Elisa Romano, Torino, Einaudi,

1997, i, 6, 4, p. 49 : « Ma quanti hanno svolto ricerche più approfondite

 

[sui venti] ci hanno insegnato che ne esistono otto,

in particolare Andronico di Cirro, il quale fra l’altro costruì ad

Atene, a mo’ di esempio, una torre di marmo ottagonale. Su ciascun

lato raffigurò le immagini scolpite dei singoli venti, ciascunodi fronte al punto da cui soffia. E in cima a questa torre, per

 

fi nire, pose un cono di marmo, e al di sopra collocò un Tritone

di bronzo che tendeva una bacchetta con la mano destra… ».

 

4 Boccaccio, Delle Geneologia, cit., p. 70v.

 

5 Ivi, p. 71r. 6 Ivi, p. 71v.

7 « […] In labore requies / In aestu temperies / In fl etu

 

solcaium… » : nella fatica riposo, nella calura riparo, nel pianto

conforto.

 

un ritratto in sembianze di prometeo 183

 

cuno dei suoi dotti amici potesse rintracciare, prima

di tutto, la diretta contiguità, nella struttura del testo,

tra le fi gure di Prometeo e quelle dei Venti ; inoltre,

la loro comune discendenza titanica, certe analoghe

scelte di comportamento, la connessione tra la temperies

 

determinata dal vento e il fuoco che il fi glio di Giapeto

reca in mano nella sua discesa dall’Olimpo : un

fuoco che il vento proveniente dal Carcere sotterraneo

non avrebbe potuto che mantenere vivo.

Per questo il Carcere dei Venti poteva essere sormontato

dalla fi gura di Prometeo ed è quest’ultimo,

a sua volta, a chiarire il secondo aspetto del nostro

problema, ossia il motivo che poteva aver spinto il

nobile Trento a farsi ritrarre sotto le sembianze del

Titano, in aspetto poco meno che divino. È pro- 1 Met., i, 83.

 

prio perché si rappresenta Prometeo che il ritratto di

Francesco, lungi dal risultare bizzarro o inconcepibile,

diviene addirittura, in un certo senso, necessario. Prometeo

è infatti all’origine delle arti, e dunque della

possibilità del ritratto, ma insieme della somiglianza

tra gli uomini e gli dèi e pertanto della ragione stessa

di esistere del ritratto stesso : perché l’uomo che egli

plasma, la sottolineatura risale a Ovidio, e sarebbe

stata davvero sottilmente dispiegata sulle pareti del

padiglione se il programma iconografi co dell’Ambrosiana

fosse giunto a compimento, è « a immagine

degli dèi che tutto regolano ». 1

 

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SOMMARIO · CONTENTS

Editoriale 9

 

Editorial 11

 

Riccardo Fubini, Premesse trecentesche ai Dialogi ad Petrum Paulum Histrum di Leonardo Bruni 13

 

Martin McLaughlin, Humanist Rewriting and Translation: the Latin Griselda from Petrarch to Neri de’ Nerli 23

 

David Marsh, Poetics and Polemics in Petrarch’s Invectives 41

 

Stefano Pittaluga, Arcaismo e commedia umanistica 47

 

Marcello Ciccuto, Luciano, Dosso Dossi e le farfalle 53

 

Jean-Louis Charlet, Une lettre philologique de Niccolò Perotti à Pomponio Leto 63

 

Francesco Furlan, Ex ludis rerum mathematicarum. Appunti per un’auspicabile riedizione 71

 

Frank La Brasca, Alcune considerazioni sul De iciarchia con saggio di commento al prologo 81

 

Mario Martelli, Lamia 95

 

Claudio Crescentini, Nel segno del comando. La ‘virtù’ di Sigismondo Malatesta nell’arte di Piero della Francesca 99

 

Henri Dominique Saffrey, Alain-Philippe Segonds, Ficin sur le De mysteriis de Jamblique 117

 

Francesco P. Di Teodoro, Ponti civili e militari in legno nei fogli di Leonardo 125

 

Guglielmo Gorni, La condizione di non-finito delle Satire di Ludovico Ariosto, con una digressione metrica 141

 

Enrico Fenzi, Isabella o Lucrezia? Una proposta per le rime di Niccolò da Correggio 145

 

Giuseppe Barbieri, «Finxit in effigiem moderantum cuncta deorum»: un ritratto in sembianze di Prometeo 161

 

Yves Hersant, Giordano Bruno, Pétrarque et le Pétrarquisme 185

Sommarî, Abstracts 191

Index nominum, Elena Scantamburlo curante 199

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